Nel 1568, Vasari, nella sua Vita di Baldassarre Peruzzi, scrive: “poiché cominciato ad essere in buon credito, [Baldassarre Peruzzi] fu condotto ad Ostia, dove nel maschio della rocca dipinse di chiaro scuro in alcune stanze storie bellissime, e particolarmente una battaglia da mano, in quella maniera che usavano di combattere anticamente i romani”.
Il ciclo di affreschi monocromi cui si riferisce Vasari non si trova però nella rocca di Giulio II, bensì sulle pareti del salone centrale dell’episcopio Ostiense, intitolato al cardinale Raffaele Riario, vescovo di Ostia dal 20 gennaio 1511.
Eseguiti tra 1511 e 1513, intorno al 1615 gli affreschi vennero incredibilmente occultati con una mano di bianco e, nel Settecento, con grottesche; furono fortunosamente riscoperti da padre Geremia Sangiorgi nel 1979.
In quindici riquadri sono narrate le due guerre di Traiano contro i Daci. Ogni riquadro è separato da paraste, decorate a candelabri, che sorreggono un magnifico fregio con girali, iscrizioni e figure allegoriche.
Il modello antico dei riquadri certamente è quello della colonna Traiana; tuttavia gli affreschi ostiensi presentano evidenti affinità anche con un’opera coeva, il più grande e complesso ciclo realizzato da Jacopo Ripanda di Bologna a Palazzo Santoro. Si è proposto quindi di riconoscere in Ripanda l’autore del ciclo ostiense: l’artista bolognese avrebbe fornito i disegni, poi tradotti in affresco da Peruzzi (cui si deve probabilmente il fregio), da Cesare da Sesto di Milano, da Michele del Becca di Imola e da lui stesso.
La scelta del soggetto fu determinata dalla volontà di traslare nell’epopea antica fatti e contenuti contemporanei: nelle guerre di Traiano contro i Barbari si rifletteva la Guerra Santa che Giulio II aveva dichiarato tra 1511 e 1512 a Luigi XII, re di Francia, per impedire che questi allargasse la propria sfera di influenza all’Italia centrale. Il tema è quindi quello della cacciata dei nuovi barbari.
Riario fece anche realizzare una nuova ala – costituita da un grande appartamento al primo piano – che venne inserita tra la precedente dimora, la chiesa di Sant’Aurea (inglobata per un tratto sul lato destro), e le mura ricostruite nel 1471. Le finestre e le porte furono incorniciate in pietra e su ogni architrave venne apposto lo stemma dei Riario e, in alcuni casi, l’iscrizione che indicava il grado curiale del proprietario: R / EPS / OSTIEN / CAR / S GEORG / SRE / CAMER (Riarius / EPiScopus / OSTIENsis / CARdinalis / Sancti GEORGi / Sanctae Romanae Ecclesiae / CAMERarius)