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Pianabella

Pianabella
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Nella zona di Ostia Antica, sul lato di via di Castel Fusano e subito dopo il ponte ferroviario (a destra con le spalle alla via Ostiense), si scende per la strada che porta al Cimitero. Tra le due ali del camposanto inizia via di Pianabella.

A partire dal II sec. d.C. circa, l’area agricola che oggi chiamiamo Pianabella ebbe un utilizzo cimiteriale (così è tuttora). Essa, infatti, costituì l’espansione verso est della Necropoli Laurentina: da qui provengono bellissimi sarcofagi di età romana. Ancora oggi si notano cinque dossi che tagliano l’area da nord-est a sud-ovest, corrispondenti ad altrettante vie cimiteriali (i dossi sono infatti formati dal crollo delle tombe costruite sui lati delle strade).

Nel 1976, poco più a Sud della Necropoli Laurentina, nei pressi della via Ostiense, venne scoperta una Basilica Cristiana, databile probabilmente tra il IV e il V secolo. Alcuni studiosi la identificano nella basilica dedicata ai SS. Pietro, Paolo e Giovanni menzionata nel Liber Pontificalis; altri sono invece propensi a identificarla nella basilica di S. Lorenzo, costruita da un Gallicano, martire sotto Giuliano imperatore (IV sec. d.C.), che le fonti tarde indicano appena fuori della Porta Laurentina. Si ritiene probabile che Gallicano si fosse reso benemerito per alcune donazioni fatte alla basilica e che il nome di S. Lorenzo sia derivato alla chiesa in epoca tarda dalla vicinanza con la Porta Laurentina.
L’edificio presentava una navata unica (43,30 x 16,20 m), costruita ex novo in opera listata, abside di fondo e piccolo portico di entrata; è orientato E/O e venne costruito su precedenti strutture funerarie, riutilizzandole parzialmente. Nell’abside è stata trovata una pregevole mensa d’altare del IV-V secolo. L’edificio fu oggetto di interventi di restauro fino al IX secolo e le tracce di frequentazione giungono almeno fino all’XI secolo. Successivamente l’edificio crollò, presumibilmente a causa di un sisma.

VisitOstia - area di Pianabella

Lungo la fascia costiera oggi denominata Procoio sorse a partire dal I secolo d.C. una serie di edifici, soprattutto ville, nell’ambito di un piano di edilizia “marittima” che, in età imperiale, interessò tutta la direttrice costiera meridionale.

Il principale asse stradale litoraneo era costituito da quella che in seguito sarà la via Severiana. L’imperatore Settimio Severo (fine II – inizi III sec. d.C.), ampliò ed estese la strada (lastricata in basalto e larga 4,1 metri). Il tracciato seguiva un antichissimo asse costiero che dalla foce del Tevere (poi anche da Portus) conduceva fino a Terracina, passando per Ostia e Anzio e collegando tra loro le ville e i piccoli centri sorti sulla costa (come il Vicus Augustanus Laurentium) e altre vie (Portuense, Ostiense, Laurentina, Ardeatina). Gli itinerari antichi indicano le stationes di Vicus Augustanus Laurentium (Tor Paterno), Lavinium, (Pratica di Mare), Antium (Anzio), Astura (Torre Astura),  Clostra (Capo Portiere), ad Turres Albas (Torre di Fogliano), Circeios (S. Felice Circeo), ad Turres (Torre Vittorio). La via Severiana era importante anche per il rifornimento a Ostia della calce proveniente dai Monti Lepini. Il tracciato della via Severiana è stato ricostruito con buona approssimazione, sia rilevando i resti tuttora in situ che effettuando numerosi saggi. Lungo il percorso della Severiana sono ben visibili almeno 4 dossi che per la quantità di frammenti di strutture murarie emergenti rivelano altrettanti edifici, probabilmente ville private destinate in parte alla residenza e in parte allo sfruttamento agricolo del territorio.

Le ville avevano l’ingresso principale verso la strada, separate da una larga fascia libera; diversi edifici si affacciavano sul mare con scalinate e giardini. Superata l’area cimiteriale, lungo la via Severiana si incontrano i primi resti archeologici, alcuni dei quali sono stati portati alla luce nel corso dell’unica campagna di indagini archeologiche effettuata tra il 1980 e il 1986 dalla Soprintendenza di Ostia (altre indagini svolte in precedenza, tra il 1957 e il 1959, ebbero in effetti il solo scopo di delimitare le aree da sottoporre a vincolo).

I resti di un edificio in opera listata  sono i primi visibili sulla destra. La struttura, in gran parte coperta da rovi, è quasi totalmente illeggibile. Subito dopo si incontra un secondo rudere in opera laterizia: è quanto resta di un grande ambiente coperto a volta, la cui funzione è ancora incerta. La presenza di alcune absidi potrebbe indurre a considerarlo un ninfeo (fontana monumentale).

Circa 200 metri più avanti si raggiunge un notevole complesso termale, i cui resti visibili si estendono su un’area di circa 40 x 30 metri. L’analisi, ancora parziale, delle murature laterizie e delle fondazioni, ha indotto gli studiosi a ipotizzare che il manufatto sia stato edificato in età traiano-adrianea (fine I – inizi II secolo d.C.) sopra un nucleo preesistente. Il complesso si articola intorno a due vasche, il frigidarium e il calidarium: quest’ultimo, insieme ad altri ambienti adiacenti, era riscaldato con il tradizionale sistema delle suspensurae (una intercapedine sotto il pavimento che veniva riscaldata da un forno) e dei tubuli (“tubi” di terracotta fissati lungo le pareti, che poi venivano solitamente ricoperte con lastre di marmo, attraverso i quali passava aria calda).

Le due vasche hanno forma rettangolare, con un’abside su uno dei lati corti. Proseguendo per altri 2-300 metri si incontra un muro a contrafforti lungo 160 metri circa, di cui è stata scavata solo la parete est (la parte verso il mare rimane ancora interrata), nella quale vennero rilevati 39 contrafforti (muretti posti ortogonalmente alla parete), distanti l’uno dall’altro, mediamente, circa 3 metri, per un’altezza media della struttura di metri 2 circa.

La struttura è interamente realizzata in opus reticulatum, con ammorsature di blocchetti di tufo, e presenta diverse fasi edilizie che vanno dal I al IV secolo d.C. (benché, con ogni probabilità, essa sia nel complesso databile al I secolo d.C.; a questo periodo risalgono anche numerosi frammenti di ceramica, tra i quali spiccano quelli invetriati a vernice verde). L’interpretazione funzionale di tale struttura rimane ancora incerta.

Estratto da: S. Lorenzatti (a cura di), Ostia. Storia, ambiente, itinerari, Roma 2007

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